Per ogni appassionato di cinema, quando muore un autore/regista del livello di Bernardo Bertolucci, è come sentire che un pezzo di arte se ne va per sempre.
Gli inizi con Pier Paolo Pasolini, di cui fu aiuto regista, per poi percorrere strade proprie con “Il conformista”, tratto da un romanzo di Moravia.
Nel 1972 il successo planetario con “Ultimo tango a Parigi”, opera controversa e discussa, con un Marlon Brando decadente e corrotto.
Nel 1976 la saga di “Novecento” con un cast stellare (Robert De Niro, Burt Lancaster, Gèrard Depardieu, Stefania Sandrelli).
Poi il passaggio a produzioni internazionali che non è esagerato definire kolossal: “L’ultimo Imperatore” (9 Oscar), “Il tè nel deserto” e “Il piccolo Buddha”.
A seguire una parabola di opere sicuramente non all’altezza della produzione precedente, ma sempre all’insegna della qualità e dell’impegno socio/politico.
Un maestro di un cinema forse antico, vanto della cinematografia italiana, classico, con produzioni sempre meditate e sofferte. Lo rimpiangiamo, quando sullo schermo vediamo opere insulse e tirate via alla bell’e meglio.